lunedì 20 agosto 2007

Raffaele Caglari

Raul Gardini e Gabriele Cagliari







Il 20 luglio 1993, il presidente dell’ENI Gabriele Cagliari viene trovato morto per soffocamento, con in testa un sacchetto di plastica, nei bagni di San Vittore dov’era andato per farsi la doccia. Il 23, tre giorni dopo la morte di Cagliari, alle sette del mattino, il maggiordomo di Palazzo Belgioioso trova riverso sul letto, il”corsaro” della Ferruzzi, Gardini si era appena sparato un colpo di pistola alla tempia con una Walter PPK.

Il suicidio di Cagliari è da imputarsi ( almeno si crede) allo scandalo che aveva travolto il vertice dell’ENI per una maxi tangente di 17 miliardi , buona parte dei quali versati a quasi tutti i partiti politici a conclusione di un accordo esclusivo tra l’ENI e la società assicuratrice SAI di Salvatore Ligresti: grazie alla mega- tangente era stata fatta fuori l’INA. Cagliari da giorni sperava di essere scarcerato, così almeno aveva lasciato intendere il PM Fabio De Pasquale, ma il 19 luglio era stato arrestato Salvatore Ligresti che aveva fornito una versione diversa rispetto a quella fornita dal presidente dell’ENI. La procura di Milano temette che Cagliari tornando in libertà, potesse inquinare le prove e pertanto l’ordine di scarcerazione fu sospeso. Il manager reagì male: l’arresto lo aveva particolarmente provato,una decina di giorni prima aveva scritto alla moglie e ai figli una lettera disperata, in cui chiedeva perdono per un che si accingeva a dare alla famiglia. Aveva anche scritto un testamento nel quale chiedeva di essere cremato. Un suicidio a prova di bomba, ed è probabile che sia andata proprio così.

Ma è anche vero che le lettere di disperazione e le minacce di suicidio fanno parte del bagaglio di manovre cui ricorrono tutti i detenuti, più o meno consapevolmente,per far pressione sui giudici.

Certamente la delusione per la mancata libertà, che a un certo punto era sembrata imminente, provocò nel presidente dell’ENI una profonda prostrazione. Gravissime furono le polemiche che travolsero i magistrati del pool di Milano, Borrelli appena seppe del suicidio di Cagliari scoppiò a piangere in ascensore.

Appena settantadue ore dopo, ecco il suicidio eccellente, anzi eccellentissimo. Per Raul Gardini la discesa era cominciata l’anno prima, nel 1991 quando estromesso dalla gestione della Ferruzzi e gli erano subentrati il cognato Carlo Sama e l’amministratore Giuseppe Garofano. Quella mattina , sul tardi, avrebbe dovuto incontrare i magistrati per definire la sua situazione: c’era nell’aria un ordine di cattura, ma lui sperava di evitarlo mostrandosi disposto a una piena collaborazione.

A preoccuparlo moltissimo era stato l’arresto di Giuseppe Garofano, avvenuto due giorni prima, il 24,. Al centro delle accuse che riguardavano lui e la Ferruzzi c’era la “enorme “ tangente Enimont, circa tre miliardi versati alla DC DI Forlani.

Una storia che Garofano conosceva benissimo. Alle sette di mattina, Gardini ha già fatto la doccia, è ancora in accappatoi quando gli portano i giornali, il cappuccino e un croissant : ed è proprio mentre si accinge a fare colazione che l’occhio gli cade su un titolo di prima pagina di “Repubblica” < Tangenti, Garofano accusa Gardini> Raul capisce che è finita ( questa almeno la spiegazione più semplice) , apre il cassetto del comodino vicino al letto e si spara un colpo alla testa.

Gardini non lascia nessun testamento o lettera, fatta eccezione di un biglietto con scritto sopra un semplice “grazie”, ma si scoprì poi che risaliva al Natale precedente ed era la risposta a un regalo che aveva ricevuto dalla moglie Irina.

Ma come mai si trovava lì,in bela vista, due uomini in crisi, il cui fallimento rischiava di travolgere le rispettive famiglie, consapevoli di essere al centro di vicende per le quali l’Italia in quel momento stava franando, avevano deciso di togliersi la vita. Tutto qui, almeno quello che fino ad oggi, ci è dato sapere.



L'ombra della mafia su Gardini riaperta l'inchiesta sul suicidio
Un servizio dell'Espresso: dopo le indagini su Calcestruzzi la procura di Caltanissetta chiede alla Dia di esaminare il caso

La Procura di Caltanissetta ha riaperto l'inchiesta sul suicidio del finanziere Raul Gardini. Lo scrive L'espresso sul numero in edicola oggi. Dopo aver indagato sulle presunte complicità fra la mafia e la società Calcestruzzi, i magistrati nisseni hanno chiesto alla Dia di riesaminare tutto il caso. "I pubblici ministeri - scrivono gli autori - hanno ordinato agli investigatori di ripartire da zero, senza trascurare nulla". Alla base delle nuove indagini, "la convinzione dei pm che sia stata Cosa Nostra a determinare la scomparsa del "Contadino" che aveva sfidato la finanza e la politica".
Ci sarebbero almeno due elementi della scena del crimine che non convincono appieno gli inquirenti dell'ipotesi suicidio. Così, è stata chiesta una nuova perizia balistica perché, scrive ancora L'espresso citando fonti giudiziarie, "la pistola esplose due colpi, una modalità insolita per un suicidio, tanto più che nessuno sentì le detonazioni e solo diversi minuti dopo il corpo venne trovato in un lago di sangue". La Procura di Caltanissetta ha preso in considerazione anche il biglietto lasciato da Gardini ai familiari con la scritta "Grazie": "Secondo un esperto - scrive il settimanale - poteva essere stato scritto anche mesi prima".
L'inchiesta della Procura di Caltanissetta si ricollega alle ipotesi già vagliate da una vecchia indagine della Procura di Palermo, ribattezzata "Sistemi criminali", secondo la quale "dietro le stragi del 1992-93 ci sarebbe stata la volontà di Cosa Nostra di impedire ogni inchiesta sul monopolio degli appalti".
Ora però, rivela L'espresso, "i magistrati nisseni disporrebbero di fatti nuovi, a partire dagli sviluppi nella ricostruzione dei rapporti tra i Buscemi, padrini palermitani di Passo di Rigano e i Gardini". Proprio nei giorni scorsi, il gip di Caltanissetta Giovanbattista Tona, su richiesta della Procura, ha fatto scattare alcuni ordini di custodia nei confronti dei gestori di una cava nissena e di due dipendenti della società Calcestruzzi, oggi del gruppo Italcementi. La società è stata iscritta nel registri degli indagati, per associazione mafiosa e falso in bilancio.

11 agosto 2006



L’articolo dell’Espresso

Due colpi esplosi dalla sua pistola. Le pressioni degli uomini di Riina. E il legame con l'uccisione di Borsellino. Ecco perché è stata riaperta l'inchiesta sulla morte

Quando negli ultimi giorni del giugno 1992 Leonardo Messina accettò di collaborare con il pm Paolo Borsellino, primo mafioso a pentirsi dopo la strage di Capaci, Raul Gardini era ancora il timoniere del Moro di Venezia: l'imprenditore di successo che aveva tenuto gli italiani incollati davanti al televisore per le dirette notturne della Coppa America, trasmesse dalla 'sua' tv. Ma in quell'interrogatorio Messina, piccolo boss dalle rivelazioni sconvolgenti sulla rete planetaria di Cosa nostra, disse senza mezzi termini: "Totò Riina i suoi soldi li tiene nella calcestruzzi". All'inizio venne verbalizzato con la 'c' minuscola, come se si trattasse di una qualunque fabbrica di cemento, ma l'uomo d'onore precisò subito: "Intendo dire la Calcestruzzi spa". Ossia il colosso delle opere pubbliche, leader italiano del settore posseduto dall'ancora più potente famiglia Ferruzzi ma, secondo quel mafioso della provincia nissena, controllato in realtà dal padrino più feroce. Borsellino rimase colpito da quelle parole: all'indomani dell'uccisione di Giovanni Falcone aveva riaperto il dossier del Ros sul monopolio degli appalti. Una radiografia dell'intreccio tra cave e cantieri che costituisce il polmone di Cosa nostra: permette di costruire relazioni con i politici e con la borghesia dei professionisti, di creare posti di lavoro e marcare il dominio del territorio. E guadagnare somme sempre più grandi. "Ma se ci sono tante persone che possono riciciclare qualche miliardo di lire", dichiarò Borsellino all'indomani dell'interrogatorio di Messina, "quando bisogna investire centinaia di miliardi ci sono pochi disposti a farlo. Imprenditori importanti, di cui i mafiosi non si fidano ma non possono nemmeno fare a meno. È uno dei fronti su cui stiamo lavorando". Il magistrato siciliano non ebbe il tempo di andare avanti: 19 giorni dopo fu spazzato via dall'autobomba di via d'Amelio. Un anno più tardi, anche Gardini uscì di scena. Due morti che, secondo la Procura di Caltanissetta, sono direttamente collegate.

Per questo i magistrati nisseni hanno riaperto l'inchiesta sulla fine di Gardini. E lo hanno fatto con la convinzione che sia stata Cosa nostra a determinare la scomparsa del 'Contadino' che aveva sfidato la finanza e la politica, per poi mollare tutto dopo il fallimento dell'affaire Enimont. I pubblici ministeri hanno ordinato agli investigatori della Dia di ripartire da zero, senza trascurare nulla. Chiedono una nuova perizia balistica, nella speranza che le tecnologie odierne possano ricostruire meglio la dinamica dello sparo. Lo fanno sottolineando un'ipotesi inquietante: la pistola esplose due colpi. Una modalità insolita per un suicidio. Tanto più che nessuno sentì le detonazioni: secondo la ricostruzione, solo dopo diversi minuti il corpo venne trovato in un lago di sangue dal maggiordomo. Accanto a lui, sul letto, l'arma. Sul mobile un biglietto: i nomi dei figli e della moglie, seguiti da una sola parola 'Grazie'. Un biglietto che, secondo un esperto, poteva anche essere stato scritto mesi prima. Ma tutta la scena del crimine era stata sconvolta dai soccorritori: impossibile trovare riferimenti certi. Per questo la Procura chiede che i periti chiariscano la questione dei proiettili. Ma vuole anche far risentire dalla Dia tutti i familiari e i protagonisti di quelle giornate del luglio 1993, l'estate del terrore quando tra stragi, crac finanziari, morti e arresti eccellenti cambiò la storia d'Italia. La prima a venire interrogata come teste sarà Idina Ferruzzi, la moglie che non ha mai creduto al suicidio.



La Procura nissena riparte da un'ipotesi vecchia, già percorsa invano con un'indagine ribattezzata 'Sistemi criminali' e chiusa con l'archiviazione: dietro le stragi del 1992-93 ci sarebbe stata la volontà di Cosa nostra di impedire ogni inchiesta sul monopolio degli appalti. Ora i pm di Caltanissetta disporrebbero di fatti nuovi, alcuni ancora segreti, a partire dagli sviluppi nella ricostruzione dei rapporti con i Buscemi, padrini di Passo di Rigano: il feudo di Salvatore Inzerillo, a loro affidato da Totò Riina per la fedeltà dimostrata in guerra e in affari. Già dieci anni fa si era scoperto che il gruppo Gardini e i Buscemi erano sostanzialmente soci: ciascuno controllava il 50 per cento della Finsavi, creata per fare affari nell'isola. Poi nel '97 la Compart, nata dal crollo della Ferruzzi, vende tutto a Italcementi. In Sicilia, però, secondo le indagini, le mani della mafia restano avvinghiate alla Calcestruzzi. Pochi giorni fa finiscono in carcere il capomafia di Riesi, Salvatore Paterna, impiegato della Calcestruzzi Spa; Giuseppe Ferraro, proprietario della cava Billiemi e Giuseppe Giovanni Laurino, detto 'ù Gracciato', responsabile locale dell'azienda. Possono personaggi così provinciali custodire segreti che hanno sconvolto il Gotha della finanza italiana? Alcuni dei più importanti pentiti nell'ultimo decennio, tra loro Giovanni Brusca e Angelo Siino, hanno sottolineato come la questione del calcestruzzo fosse strategica per i corleonesi. Anche Falcone e Borsellino si sarebbero mossi sulla stessa traccia. Nella richiesta di archiviazione dell'inchiesta 'Sistemi criminali' i pm scrivono: "Già le loro indagini nel 1991 avevano aperto scenari inquietanti e se fossero state svolte nella loro completezza e tempestività, inquadrandole in un preciso contesto temporale, ambientale e politico avrebbero avuto un impatto dirompente sul sistema economico e politico italiano ancor prima o contestualmente a Tangentopoli". In ballo c'erano investimenti miliardari e relazioni fondamentali per il potere mafioso, che andavano difese a tutti i costi. Ma se le bombe hanno eliminato i due uomini simbolo di Palermo, il pool di Milano è riuscito ad andare avanti. Fino al 23 luglio 1993, quando Gardini si sarebbe dovuto presentare per rispondere alle accuse sul tangentone Enimont e le relazioni tra Ferruzzi e partiti. Tutte cose che, dissero all'epoca i suoi avvocati, era pronto a fare: fino alla tarda serata aveva discusso della deposizione, mostrando la determinazione di sempre. La mattina dopo, invece, Gardini viene trovato morto. Possibile che le pressioni di Cosa nostra abbiano pesato su questo gesto? Possibile che si sia trattato di un omicidio? I pm chiedono alla Dia di usare ogni strumento per non lasciare dubbi. E di approfondire ogni possibile legame anche con la bomba di Milano, esplosa all'indomani dei funerali in via Palestro. Secondo gli atti del processo, gli attentatori sbagliarono bersaglio di alcune centinaia di metri. E Palazzo Belgioioso, residenza di Gardini, era poco lontano.



Tanti fantasmi siciliani, a cui Sergio Cusani non ha mai dato credito: "La Calcestruzzi godeva di una autonomia assoluta perché Lorenzo Panzavolta l'aveva creata e la gestiva come un autocrate", ha spiegato in un'intervista: "A un certo punto, dopo un attentato, saltò fuori il nome di questo Buscemi. Gardini fu molto seccato da questa storia e all'interno del gruppo si aprì un'inchiesta. Cusani ricorda che Panzavolta presentò Buscemi "come un manager dell'azienda comprata in Sicilia". E descrive Gardini turbato, tanto da pensare di liberarsi dell'azienda: "Mi disse: 'Vendo la Calcestruzzi e così vendo anche Panzavolta'". Ma era qualcosa che Gardini poteva fare? Si poteva dire di no ai soci palermitani? E si poteva licenziare Panzavolta, l'ex comandante partigiano romagnolo che teneva i rapporti tra Ferruzzi e Pci, ma soprattutto gestiva i grandi appalti nazionali della famiglia di Ravenna?