domenica 19 ottobre 2008

raul gardini & company

GIALLI D'ITALIA


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LA STORIA
Raul Gardini (Ravenna, 7 giugno 1933 – Milano, 23 luglio 1993) è stato un imprenditore italiano.

Raul Gardini (Ravenna, 7 giugno 1933 – Milano, 23 luglio 1993) è stato un imprenditore italiano.

Gli inizi

Cresce professionalmente nell'azienda dell'imprenditore ravennate Serafino Ferruzzi, che fa fortuna producendo e commerciando granaglie e cemento, di cui diventa genero sposandone la figlia Idina. Alla morte del suocero, Gardini diventa l'amministratore delle società del gruppo, su delega dei quattro figli dell'imprenditore ravennate.


La scalata alla Montedison
Negli anni ottanta diventa celebre per la scalata alla Montedison, che diventa un'azienda contendibile per effetto di alcune spregiudicate operazioni finanziarie dell'amministratore Mario Schimberni destinate nelle sue intenzioni a fare della Montedison una public company indipendente dal controllo esercitato da Mediobanca. La contendibilità della Montedison spinge Gardini ad acquistarne le azioni, con il benestare di Enrico Cuccia che ha perso il controllo della società petrolchimica.


La nascita e il fallimento di Enimont
In seguito Gardini realizza con l'ENI la fusione delle attività chimiche dei due gruppi, fondando Enimont, di cui ENI e Montedison possiedono il 40% ciascuno, mentre il restante 20% è nelle mani del mercato azionario. Il tentativo di Gardini di acquistare il 20% delle azioni sul mercato porta alla rottura dei rapporti con ENI e alla decisione di vendere a quest'ultima il proprio 40%.
Una parte dell'ingente quantità di denaro incassato viene usato per versare tangenti al sistema politico che, decidendo di defiscalizzare le plusvalenze della Montedison derivanti dall'attribuzione di parte delle attività ad Enimont, ha reso possibile la nascita dell'Enimont stessa.



La morte
In seguito, Gardini è protagonista di speculazioni finanziarie poco fortunate e di scelte imprenditoriali infelici che prima lo portano a lasciare le cariche all'interno del gruppo Ferruzzi-Montedison e poi, una volta scoperte le tangenti generate dalla vendita del 40% di Enimont, al suicidio. Lo trovarono morto nella sua casa di Milano il 23 luglio del 1993. Le indagini conclusero che si fosse sparato un colpo di pistola alla testa, ma sulle ragioni e la dinamica della morte dell'imprenditore restano ancora molti dubbi (la pistola fu ritrovata riposta sul comodino, lontana dal cadavere).


Gardini e lo sport
La figura di Gardini è anche legata allo sport e in particolare all'America's Cup, di cui il Moro di Venezia, la barca voluta da Gardini e finanziata dalla Montedison, fu protagonista nel 1992. Vinta la Louis Vuitton Cup, l'equipaggio del Moro, affidato a Paul Cayard, venne sconfitto da America³ a San Diego (USA). Ma anche il mondo della pallavolo ravennate deve molto a Raul Gardini e al gruppo Ferruzzi: dalla storica epopea della Olimpia Teodora di Manu Benelli e Sergio Guerra (l'olio di soia "Teodora" veniva prodotto dalla Italiana Olii & Risi, società del gruppo Ferruzzi) nel volley femminile, agli anni straordinari de Il Messaggero Volley di Steve Timmons e Karch Kiraly (il quotidiano Il Messaggero era di proprietà di Montedison), fino alla costruzione del bellissimo palazzo dello sport intitolato a Mauro De André, dirigente del gruppo Ferruzzi tragicamente scomparso nonché fratello del noto cantautore Fabrizio De André, che si trova sulla strada che dalla città porta verso Marina di Ravenna.





Le barche che recano il nome Moro di Venezia sono nove: le prime tre erano bianche con la linea di galleggiamento verde. Altre cinque hanno gareggiato nel 1992 in Coppa America, ed una Maxi di 24 Mt. costruita in materiali compositi in Australia in seguito chiamato - Il Moro IX.
La storia di queste inbarcazioni famose risale al 1976 anno in cui Raul Gardini con l’avallo del genero, il ricco Serafino Ferruzzi, da’ inizio alla realizazzione del primo 20.41 Mt-armato a Sloop.

All’apice della notorieta’ conquistata grazie al Moro di Venezia, Gardini si trovo’ convolto in due gravissimi reati nella fusione delle Societa’ (Enimont-Statale) e Montedison amministrata da Gardini.
Gardini avrebbe pagato ai politici la somma di 152 Miliardi, e lui stesso avrebbe beneficiato di una supervalutazione incassata direttamente di 800 Miliardi.
Questo scandalo e altri risvolti portarono alla prematura scomparsa di Raul Gardini.
Richiamandosi alle sue imprese marinare, la rivista Americana ”TIME” (1993) commentera cosi la sua scomparsa: Egli sara ricordato come un brillante simbolo del suo tempo, un capitano d’industria e un marinaio di livello mondiale.
Per questa storica imbarcazione di prestigio internazionale e’ in corso in California, un restauro professionale per riportarla agli antichi splendori. Sig. Aldo Caretti
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CRONACA Sequestrato il colosso del cemento: "Fondi neri per la mafia"
Tra i fermati l'amministratore delegato, Mario Colombini
Soldi ai boss, in cella
i vertici Calcestruzzi
dal nostro inviato SALVO PALAZZOLO
Gli interni della società siciliana Calcestruzzi
CALTANISSETTA - Diciannove giorni prima di morire, il 30 giugno 1992, era stato Paolo Borsellino a scoprire il segreto: "Alla Calcestruzzi spa è interessato Totò Riina", rivelò il pentito Leonardo Messina. Ma non restò altro tempo per indagare. Ci sono voluti ben sedici anni per far emergere i misteri del colosso italiano del cemento. E adesso, l'arresto dell'amministratore delegato dell'azienda bergamasca, Mario Colombini, suggerisce che questa non è solo una storia del passato, di quando Riina era in libertà.
Secondo i magistrati nisseni, i vertici della Calcestruzzi avrebbero continuato a lavorare a fianco dei manager più fidati di Cosa nostra. Come ricompensa per i servizi e gli investimenti, il management della società avrebbe offerto ai padrini laute parcelle, prelevate dai fondi neri creati con una doppia gestione della produzione. Ovvero, il costo "mafia" sarebbe stato ammortizzato sul cemento destinato alle opere pubbliche: veniva dichiarata la consegna di una quantità, si caricava in betoniera molto meno.
Un ex autista della Calcestruzzi arrestato nei mesi scorsi è il pentito che sta svelando ai magistrati tanti segreti, che non sarebbero solo siciliani. Per questa ragione, il gip Giovanbattista Tona ha disposto il sequestro dell'intera società e di un patrimonio che ammonta a 600 milioni di euro. Assieme a Colombini, sono finiti in manette anche Fausto Volante, direttore di zona per la Sicilia e la Campania di Calcestruzzi e due suoi ex predecessori, Francesco Librizzi e Giuseppe Laurino.
Per tutti, le accuse sono di truffa, frode in pubbliche forniture e intestazione fittizia di beni, con l'aggravante di aver agevolato l'organizzazione mafiosa. Le indagini del reparto operativo dei carabinieri di Caltanissetta e del Gico della finanza hanno già acquisito una gran mole di documentazione dopo le ultime perquisizioni.
Adesso, alla guida della Calcestruzzi c'è un amministratore giudiziario.
Ma è già polemica nel mondo imprenditoriale. "Se l'azienda non si è adeguata alla ultime direttive di Confindustria, va subito estromessa", dice Vincenzo Divella, amministratore dell'omonima società e presidente della provincia di Bari: "Può essere un'occasione per fare pulizia. Al Sud, la mafia è ancora molto presente: quando entra in un'impresa non la lascia più".
Così sarebbe stato per la Calcestruzzi. "Non pagava neanche il pizzo - ha spiegato Angelo Siino, il ministro dei lavori pubblici di Cosa nostra, oggi collaboratore di giustizia - la società era diretta emanazione dei Buscemi".
Erano i manager prediletti di Riina e Provenzano, l'anello di collegamento con i dirigenti della Calcestruzzi in Sicilia: non è ancora chiaro quanto Raul Gardini avesse compreso le collusioni dei suoi manager.
A Caltanissetta, è in corso da mesi un'altra inchiesta per scoprire le vere ragioni del suicidio del magnate di Ravenna, nel '93. Di certo c'è solo che i misteri di questa storia restano in un impianto di calcestruzzi nel cuore della Sicilia, a Riesi.
Lì, il colosso del cemento arrivò negli anni Ottanta. Spiegano i pentiti: "Riina ordinò, non dobbiamo disturbarli".
Oggi, Italcementi dice: "Piena collaborazione con la magistratura, rifiuto di qualsiasi contiguità. Da qualche tempo, individuate le irregolarità, avevamo già sospeso l'attività in Sicilia".
(31 gennaio 2008)
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Gardini e i padrini di Giuseppe Lo Bianco e Piero Messina

Due colpi esplosi dalla sua pistola.
Le pressioni degli uomini di Riina.
E il legame con l'uccisione di Borsellino.
Ecco perché è stata riaperta l'inchiesta sulla morte Totò Riina
Quando negli ultimi giorni del giugno 1992 Leonardo Messina accettò di collaborare con il pm Paolo Borsellino, primo mafioso a pentirsi dopo la strage di Capaci,
Raul Gardini era ancora il timoniere del Moro di Venezia: l'imprenditore di successo che aveva tenuto gli italiani incollati davanti al televisore per le dirette notturne della Coppa America, trasmesse dalla 'sua' tv.
Ma in quell'interrogatorio Messina, piccolo boss dalle rivelazioni sconvolgenti sulla rete planetaria di Cosa nostra, disse senza mezzi termini:
"Totò Riina i suoi soldi li tiene nella calcestruzzi".
All'inizio venne verbalizzato con la 'c' minuscola, come se si trattasse di una qualunque fabbrica di cemento, ma l'uomo d'onore precisò subito:
"Intendo dire la Calcestruzzi spa".
Ossia il colosso delle opere pubbliche, leader italiano del settore posseduto dall'ancora più potente famiglia Ferruzzi ma, secondo quel mafioso della provincia nissena, controllato in realtà dal padrino più feroce.
Borsellino rimase colpito da quelle parole:
all'indomani dell'uccisione di Giovanni Falcone aveva riaperto il dossier del Ros sul monopolio degli appalti.
Una radiografia dell'intreccio tra cave e cantieri che costituisce il polmone di Cosa nostra: permette di costruire relazioni con i politici e con la borghesia dei professionisti, di creare posti di lavoro e marcare il dominio del territorio.
E guadagnare somme sempre più grandi. "Ma se ci sono tante persone che possono riciciclare qualche miliardo di lire", dichiarò Borsellino all'indomani dell'interrogatorio di Messina, "quando bisogna investire centinaia di miliardi ci sono pochi disposti a farlo.
Imprenditori importanti, di cui i mafiosi non si fidano ma non possono nemmeno fare a meno.
È uno dei fronti su cui stiamo lavorando".
Il magistrato siciliano non ebbe il tempo di andare avanti: 19 giorni dopo fu spazzato via dall'autobomba di via d'Amelio.
Un anno più tardi, anche Gardini uscì di scena.
Due morti che, secondo la Procura di Caltanissetta, sono direttamente collegate.

Per questo i magistrati nisseni hanno riaperto l'inchiesta sulla fine di Gardini. E lo hanno fatto con la convinzione che sia stata Cosa nostra a determinare la scomparsa del 'Contadino' che aveva sfidato la finanza e la politica, per poi mollare tutto dopo il fallimento dell'affaire Enimont. I pubblici ministeri hanno ordinato agli investigatori della Dia di ripartire da zero, senza trascurare nulla. Chiedono una nuova perizia balistica, nella speranza che le tecnologie odierne possano ricostruire meglio la dinamica dello sparo. Lo fanno sottolineando un'ipotesi inquietante: la pistola esplose due colpi. Una modalità insolita per un suicidio. Tanto più che nessuno sentì le detonazioni: secondo la ricostruzione, solo dopo diversi minuti il corpo venne trovato in un lago di sangue dal maggiordomo. Accanto a lui, sul letto, l'arma. Sul mobile un biglietto: i nomi dei figli e della moglie, seguiti da una sola parola 'Grazie'. Un biglietto che, secondo un esperto, poteva anche essere stato scritto mesi prima. Ma tutta la scena del crimine era stata sconvolta dai soccorritori: impossibile trovare riferimenti certi. Per questo la Procura chiede che i periti chiariscano la questione dei proiettili. Ma vuole anche far risentire dalla Dia tutti i familiari e i protagonisti di quelle giornate del luglio 1993, l'estate del terrore quando tra stragi, crac finanziari, morti e arresti eccellenti cambiò la storia d'Italia. La prima a venire interrogata come teste sarà Idina Ferruzzi, la moglie che non ha mai creduto al suicidio.

La strage di via D'Amelio
La Procura nissena riparte da un'ipotesi vecchia, già percorsa invano con un'indagine ribattezzata 'Sistemi criminali' e chiusa con l'archiviazione: dietro le stragi del 1992-93 ci sarebbe stata la volontà di Cosa nostra di impedire ogni inchiesta sul monopolio degli appalti. Ora i pm di Caltanissetta disporrebbero di fatti nuovi, alcuni ancora segreti, a partire dagli sviluppi nella ricostruzione dei rapporti con i Buscemi, padrini di Passo di Rigano: il feudo di Salvatore Inzerillo, a loro affidato da Totò Riina per la fedeltà dimostrata in guerra e in affari. Già dieci anni fa si era scoperto che il gruppo Gardini e i Buscemi erano sostanzialmente soci: ciascuno controllava il 50 per cento della Finsavi, creata per fare affari nell'isola. Poi nel '97 la Compart, nata dal crollo della Ferruzzi, vende tutto a Italcementi. In Sicilia, però, secondo le indagini, le mani della mafia restano avvinghiate alla Calcestruzzi. Pochi giorni fa finiscono in carcere il capomafia di Riesi, Salvatore Paterna, impiegato della Calcestruzzi Spa; Giuseppe Ferraro, proprietario della cava Billiemi e Giuseppe Giovanni Laurino, detto 'ù Gracciato', responsabile locale dell'azienda. Possono personaggi così provinciali custodire segreti che hanno sconvolto il Gotha della finanza italiana? Alcuni dei più importanti pentiti nell'ultimo decennio, tra loro Giovanni Brusca e Angelo Siino, hanno sottolineato come la questione del calcestruzzo fosse strategica per i corleonesi. Anche Falcone e Borsellino si sarebbero mossi sulla stessa traccia. Nella richiesta di archiviazione dell'inchiesta 'Sistemi criminali' i pm scrivono: "Già le loro indagini nel 1991 avevano aperto scenari inquietanti e se fossero state svolte nella loro completezza e tempestività, inquadrandole in un preciso contesto temporale, ambientale e politico avrebbero avuto un impatto dirompente sul sistema economico e politico italiano ancor prima o contestualmente a Tangentopoli". In ballo c'erano investimenti miliardari e relazioni fondamentali per il potere mafioso, che andavano difese a tutti i costi. Ma se le bombe hanno eliminato i due uomini simbolo di Palermo, il pool di Milano è riuscito ad andare avanti. Fino al 23 luglio 1993, quando Gardini si sarebbe dovuto presentare per rispondere alle accuse sul tangentone Enimont e le relazioni tra Ferruzzi e partiti. Tutte cose che, dissero all'epoca i suoi avvocati, era pronto a fare: fino alla tarda serata aveva discusso della deposizione, mostrando la determinazione di sempre. La mattina dopo, invece, Gardini viene trovato morto. Possibile che le pressioni di Cosa nostra abbiano pesato su questo gesto? Possibile che si sia trattato di un omicidio? I pm chiedono alla Dia di usare ogni strumento per non lasciare dubbi. E di approfondire ogni possibile legame anche con la bomba di Milano, esplosa all'indomani dei funerali in via Palestro. Secondo gli atti del processo, gli attentatori sbagliarono bersaglio di alcune centinaia di metri. E Palazzo Belgioioso, residenza di Gardini, era poco lontano.
(10 agosto 2006)
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Ottobre 2006

I rapporti tra Raul Gardini e Cosa Nostra
Quei legami troppo a lungo dimenticati

di Nicola Biondo

I magistrati di Caltanissetta, in possesso di nuovi elementi che confermerebbero la forte vicinanza tra la Ferruzzi di Raul Gardini – suicida nel 1993 – e Cosa Nostra, hanno recentemente chiesto alla Direzione investigativa antimafia di riprendere le indagini sulla morte dell’imprenditore. Infatti già dieci anni fa atti processuali e documenti dei reparti di eccellenza della Guardia di Finanza e della Polizia parlavano del connubio tra l’azienda ravennate e i boss siciliani
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C’è qualche legame che collega la parabola di Raul Gardini nel mondo dell’economia italiana e gli affari di Cosa Nostra?
È questa la domanda a cui i giudici della Procura di Caltanissetta, che recentemente hanno aperto una nuova inchiesta sulla scomparsa di Gardini, il patron del Gruppo Ferruzzi, morto suicida il 23 luglio del 1993, devono rispondere.
Una storia vecchia e al contempo attuale quella dei colletti bianchi della mafia, degli appalti truccati o in regime di monopolio, del riciclaggio di centinaia di milioni di euro attraverso i salotti buoni del capitalismo italiano.
Una storia che porta lontano e che potrebbe fare luce anche sulla stagione stragista di Cosa Nostra, quella della ricerca di un nuovo patto con il potere politico nel momento in cui la Prima repubblica stava per crollare, e con essa i vecchi referenti della mafia.
Perché la leggenda che vuole vedere a tutti i costi qualche legame tra il mondo patinato del finanziere ravennate e quello oscuro della mafia non si basa solo sui “si dice” né sulla parola dei pentiti.
Ci sono atti processuali, una gran mole di documentazione, proveniente dai reparti di eccellenza della Guardia di Finanza e dallo Sco della Polizia, che raccontano davvero un’altra storia e che stringono legami assai forti tra Ravenna, capitale della Ferruzzi, e il cuore di Cosa Nostra, a Palermo e provincia, feudo dei Corleonesi.

Calcestruzzi spa, la ditta nel cuore dei boss.
La storia ha inizio negli anni 80. Una storia di cui erano a sicuramente a conoscenza Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e che si è conclusa giudiziariamente solo nel 2002, con la condanna dell’ex manager della Ferruzzi Lorenzo Panzavolta per lottizzazione abusiva in concorso con esponenti mafiosi.
Dopo il “golpe” all’interno della Cupola, i Corleonesi decisero una nuova strategia nell’ambito degli appalti pubblici e privati, affidandosi a una delle famiglie più fedeli, quella dei Buscemi-Bonura, proprietaria di una ditta, la Calcestruzzi Palermo spa, da sempre nel cuore e nel portafoglio dei capi di Cosa Nostra. Fu Riina in persona a farla entrare nel grande gioco degli appalti, e Binnu Provenzano un decennio fa la citava addirittura nei suoi (ormai celebri) pizzini.
Il rapporto tra esponenti di Cosa Nostra e alcune aziende del gruppo Ferruzzi, a voler leggere le sentenze, partirebbe proprio da questa società all’inizio degli anni 80.
Dall’inchiesta che ha visto condannati manager della holding ravennate, in concorso con affiliati di Cosa Nostra, è stato appurato che «i rapporti fra il gruppo di Ravenna e i Buscemi (per quanto attiene, la Calcestruzzi Palermo spa) hanno inizio nel 1982 allorché la Calcestruzzi di Ravenna, amministrata da Panzavolta Lorenzo, acquista da Buscemi Antonino il 40% del capitale sociale della Cava Occhio con sede in Palermo» Gip Renato Grillo, Procura di Palermo 2 ottobre 1997,
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Enimont, tutti condannati
Finanziamento dei partiti: pene anche per Forlani,
Pomicino e Martelli. A Sama e Garofano 4 anni e 8 mesi
Enimont, tutti condannati
Quattro anni a Craxi, otto mesi a Bossi e sei a La Malfa

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Finanziamento dei partiti: pene anche per Forlani, Pomicino e Martelli. A Sama e Garofano 4 anni e 8 mesi TITOLO: Enimont, tutti condannati Quattro anni a Craxi, otto mesi a Bossi e sei a La Malfa - - - -- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - MILANO . Tutti condannati per l' Enimont. Con una mossa a sorpresa, la quinta sezione del Tribunale ha pronunciato ieri la sentenza dribblando l' ultima opposizione. 4 anni per Bettino Craxi, 2 anni e 4 mesi per Arnaldo Forlani e Paolo Pomicino; un anno per Claudio Martelli. Otto mesi per Umberto Bossi e per il suo tesoriere Alessandro Patelli, per la bustarella da 200 milioni. Sei mesi a La Malfa. Pene dure per gli ultimi amministratori della Montedison Carlo Sama e Giuseppe Garofano: 4 anni e 8 mesi, piu' di quanto Di Pietro avesse chiesto nella requisitoria d' addio. Il dibattimento era bloccato da febbraio a causa delle istanze in Cassazione contro il presidente Romeo Simi De Burgis.