giovedì 20 settembre 2007

Sergio Cusani

Parla Sergio Cusani, ex consulente di fiducia del padrone della Montedison

"Vi racconto il mio amico Gardini Si sparò per proteggere i Ferruzzi"

"Certo, era un orgoglioso. Certo, non voleva rassegnarsi all'umiliazione del carcere. Ma sono convinto che Raul Gardini si uccise soprattutto per prendere su di sé, con un gesto estremo di difesa, l'onta delle accuse che stavano per investire i Ferruzzi. E, in particolare, lo fece per amore nei confronti di sua figlia Eleonora. Erano legatissimi e anche lei stravedeva per il padre". Quel 23 luglio del 1993, un venerdì, Sergio Cusani perse un amico. E la sua vita venne sconvolta per sempre. Cominciò la giornata ai funerali di Gabriele Cagliari, l'ex presidente dell'Eni che tre giorni prima si era suicidato in carcere soffocandosi con un sacchetto di plastica. Durante le esequie, Cusani apprese che anche Gardini si era tolto la vita. E alle tre del pomeriggio, si trovò in carcere, su ordine della Procura di Milano. Dieci anni dopo, l'ex finanziere, l'uomo dei Ferruzzi, il gestore della maxi tangente Enimont ai partiti, ha finito di saldare il suo conto con la giustizia. Un prezzo salato. Di tutti i protagonisti della vicenda Enimont (banchieri, manager di Stato, industriali, politici) lui è quello che ha scontato la pena più pesante: 5 anni e 6 mesi, di cui quattro trascorsi in cella. Adesso, a dieci anni di distanza da quel colpo di pistola che spezzò la vita del suo amico Raul, Cusani ripercorre attraverso i suoi ricordi la strada che ha portato a quella tragica scelta. Racconta di guerre finanziarie e di ordinarie liti familiari. E dal suo punto di vista traccia un bilancio amaro dell'esperienza di Mani Pulite. Dottor Cusani, quando incontrò per l'ultima volta Gardini?
"Pochi giorni prima del suicidio. Era un uomo provato, mentalmente e fisicamente. Lo tenevano sulla graticola." Chi?
"La Procura di Milano. I magistrati si rifiutavano di incontrarlo. Altri imprenditori se la erano cavata con un incontro e un memoriale. A Gardini questo non fu permesso nonostante i suoi avvocati insistessero perché andasse a fare dichiarazioni spontanee come era accaduto per altri finanzieri e industriali".
E perché ci sarebbe stato questo accanimento proprio verso Gardini?
"Era considerato un anello debole del capitalismo italiano. Dopo la rottura con la famiglia Ferruzzi aveva perso molto del suo potere, non aveva coperture politiche e non possedeva mezzi di comunicazione di massa. Insomma era vulnerabile. D'altra parte colpendo Gardini si otteneva un grande effetto mediatico".
Può spiegare meglio?
"Proprio così. Raul era un personaggio di grande popolarità. Un po' per merito del Moro di Venezia e della Coppa America di vela. E poi per il suo carattere impetuoso. Nell'immaginario collettivo era l'imprenditore che aveva osato sfidare i partiti e un gigante come l'Eni".
Sta dicendo che arrestare Gardini serviva ad alimentare giornali e televisioni?
"Quello che ho percepito subito, ma ho maturato durante la mia detenzione, è che l'inchiesta di Mani Pulite era basata sull'effetto mediatico e ogni giorno andava fornita carne fresca".
C'erano anche i reati, o no? " Sicuramente. Io stesso ho ammesso le mie responsabilità ed ero pronto a raccontare i rapporti perversi tra industria e politica. Mi è stato detto che non interessava. Che io dovevo rispondere di falso in bilancio e finanziamento illecito dei partiti. I processi, però, dovrebbero servire a perseguire i reati, ma anche a svelare i meccanismi della corruzione per impedire che si riproducano. Questo obiettivo, purtroppo, non è stato perseguito".
Perché?
"In parte perché anche la magistratura ha giocato una battaglia di potere. In parte perché magistrati come il dottor Antonio Di Pietro non avevano determinazione sufficiente e forse mancavano degli strumenti tecnico culturali, per capire quei meccanismi occulti. Un magistrato preparato come il dottor Francesco Greco, che invece quegli strumenti li possiede, fu di fatto messo da parte".
Nelle settimane precedenti il suicidio Gardini stava cercando di rientrare in gioco unendo le sue attività con quelle dei Ferruzzi e di Sergio Cragnotti. Come andò? "Avevamo lavorato a lungo a quel progetto. L'obiettivo della gestione di Carlo Sama, diventato leader dei Ferruzzi dopo l'uscita di Gardini, era quello di riunire tutte le attività concentrandosi sull'agroalimentare. Eridania doveva diventare la holding di tutto il gruppo. Era un ritorno alle origini agroindustriali. Ma il sistema bancario, guidato da Mediobanca, ci negò il suo appoggio. In quei giorni tutti i principali istituti chiusero i fidi al gruppo Ferruzzi. Fu un segnale preciso: il nostro progetto doveva fallire. Persa quell'opportunità, fu il crollo ".
Lei fu a fianco di Gardini durante tutta la vicenda Enimont. Che cosa significò per lui?
"Fu una sconfitta bruciante. Ne uscì molto provato nel fisico e nella mente. Subì la sconfitta e la somatizzò duramente. Si era innamorato del sogno di una chimica italiana forte su scala mondiale. Questo, per Raul era il progetto Enimont".

Enimont però fu anche la madre di tutte le tangenti, come per primo rivelò ai magistrati l'ex presidente di Montedison Giuseppe Garofano. Una confessione che precedette di poche ore il suicidio di Gardini.
"Gardini non si faceva nessun problema a pagare i partiti per raggiungere i suoi scopi. Da quanto mi diceva tutte le forze politiche, con la sola eccezione dei radicali, hanno ricevuto finanziamenti dal gruppo Ferruzzi. Questo però non vuol dire che Raul non credesse davvero a quel progetto".
Resta il fatto che il polo della chimica fu il paravento dietro al quale vennero consumate scorribande finanziarie di ogni genere.
"E' vero. E io lo so bene. So anche, però, che allora i mercati finanziari erano di fatto un far west privo di regole. E la politica evitava di regolamentare la finanza perché ne aveva un tornaconto diretto in termini di finanziamenti occulti. Adesso, a più di dieci anni di distanza, questi paletti regolamentari sono stati piantati. Molti avvenimenti recenti, però, sembrano suggerire che in questi anni gli organi di vigilanza si sono distratti in più di un'occasione".
Come nacque Enimont?
"Inizialmente l'operazione Enimont serviva soltanto a togliere da Montedison alcune attività chimiche poco redditizie. Poi, quando venne raggiunto l'accordo con l'Eni, Gardini si rese conto di quanto la chimica poteva significare in termini di potere e quanto potesse creare valore unendo Enimont alle aziende come Himont e Ausimont rimaste in Montedison".
E allora? "Si sentì ben più di un protagonista. E la continua esposizione mediatica contribuì forse a fargli perdere il senso della misura. Ricordò che un giorno passeggiando mi disse: "Sai, sono l'uomo più fotografato dell'anno". Io risi, la presi per una battuta. Lui si offese e tagliò corto: "Guarda che non scherzo", mi disse. Gardini era un uomo di carattere molto impulsivo. Di cultura tipicamente romagnola con componenti anarcoidi e antisistema. Era un battitore libero. Non aveva arretrato di un passo nella battaglia sulla benzina ecologica all'etanolo (quella ricavata dai cereali) che metteva in discussione il potere delle multinazionali petrolifere. E anche sull'Enimont non ebbe esitazioni. Rilanciò sempre e alla fine si mise contro tutti i partiti".
Proprio tutti?
"Sì tutti, anche Craxi, che pure all'inizio vedeva con favore la scalata di Gardini alla chimica. Sono convinto però che in un secondo momento anche in Craxi prevalse il timore di consegnare troppo potere nelle mani di una famiglia in un Paese in cui il capitalismo era già dominato dalle famiglie".
Con queste premesse, la storia di Enimont non poteva che finire male.
"E sono convinto che sia stato un disastro per il sistema Paese che ha perso l'opportunità di conservare una chimica competitiva a livello mondiale. Quel poco che resta della chimica nazionale ha inghiottito migliaia di miliardi di denaro pubblico senza risultati concreti. E' un declino simile a quello che sta subendo anche il settore dell'automobile. Proprio adesso la Banca della solidarietà da me promossa si sta occupando da vicino di questo problema come consulente di Fiom-Cgil. Il sindacato vuole la salvezza della Fiat, un grande patrimonio collettivo. Per questo abbiamo proposto una via d'uscita che prevede la fusione nella nuova Fiat sia delle holding finanziarie della famiglia Agnelli sia della holding olandese che controlla Fiat auto. Una rottura con il passato per concentrare tutte le risorse sul rilancio dell'auto".

Vittorio Malagutti