lunedì 8 dicembre 2008

D'AVANZO------> PRIMO PASSO

PRIMO PASSO, MA NON BASTA
Repubblica — 07 dicembre 2008 pagina 1 sezione: PRIMA PAGINA

Bisogna subito dire che - anche se inconsueta e per alcuni impropria - l' iniziativa del capo dello Stato (ha chiesto notizie e atti delle inchieste di Salerno e Catanzaro) ha il merito di aver restituito senso istituzionale a un conflitto che aveva assunto l' intensità di una incontrollabile rissa da marciapiede. La mossa di Napolitano ha costretto il Consiglio superiore della magistratura a intervenire senza l' abituale passo lento, pesante, burocratico. Le immediate audizioni dei capi dei due uffici - il procuratore di Salerno e il procuratore generale di Catanzaro - hanno mostrato a una commissione disciplinare, turbata e sbigottita, prassi stupefacenti. I magistrati di Catanzaro sono stati costretti dai magistrati di Salerno a denudarsi nei loro appartamenti durante perquisizioni che non hanno risparmiato nemmeno gli zaini dei figli minori. Alle operazioni, con i due sostituti titolari dell' inchiesta De Magistris, hanno partecipato altri quattro pubblici ministeri senza alcuna delega formale, come per una forma privata «di sostegno ai colleghi», con l' incarico di tenere d' occhio, ognuno, un magistrato indagato - come abitualmente un pm non fa nemmeno nelle azioni antimafia. L' iniziativa di Salerno, si è accertato, è stata alimentata dalle dichiarazioni di Luigi De Magistris, ascoltato per sessantacinque volte (65) senza alcuna convocazione. A quel che si capisce, ogni volta che aveva la voglia o la necessità di mettere a verbale una nuova circostanza, suggestione, sospetto o ricordo del complotto che lo avrebbe fermato, De Magistris entrava nella stanza dei pubblici ministeri e rendeva la sua testimonianza. Una fortuna e un' attenzione che pochi «denuncianti» ricevono nelle procure italiane. Ai torti di Salerno non si oppongono le ragioni delle toghe di Catanzaro. Che, umiliate dall' invasività dell' irruzione, reagiscono a loro volta con un dispregio, con un oltraggio. Il procuratore generale di Catanzaro, a quel punto, sa di essere indagato da Salerno e tuttavia ordina un controsequestro negli uffici di Salerno, in una condizione di assoluta incompatibilità. Questo quadro di regole violate, con ogni probabilità incompleto, ha convinto in poche ore la commissione disciplinare ad avviare contro il procuratore di Salerno e il Procuratore generale di Catanzaro, i condottieri - diciamo così - delle "bande togate", un procedimento di trasferimento d' ufficio per incompatibilità ambientale: non possono più amministrare giustizia nella sede che occupano «nelle condizioni richieste dal prestigio dell' ordine giudiziario». E' soltanto un provvedimento amministrativo e non può bastare per la catastrofe cui si è assistito. Ora, se si vuole dare ascolto alle preoccupazioni del presidente della Repubblica, deve muoversi con la stessa tempestività del Csm il procuratore generale della Corte di Cassazione, titolare dell' azione disciplinare. Soltanto una severa e rapida verifica delle responsabilità e irresponsabilità può restituire fiducia in un ordine (potere) dello Stato. Perché alla fine dei conti il problema è questo. Vogliamo credere in un giudice che, senza timore e senza speranza, rispettoso della legge, coerente con la sua intelligenza e sapere giuridico, in virtù del suo status istituzionale, sia garante di ogni persona. Ma se ci sono giudici che non rispettano nemmeno i loro doveri per aggredire e punire altri giudici, che ne sarà dei diritti dei più deboli, dei meno protetti, dei disgraziati come noi? Per restituire questa fiducia al cittadino e rafforzare la convinzione che una magistratura è giusta soltanto se autonoma e indipendente da ogni altro potere esterno e interno, i protagonisti di questa avvilente mischia devono essere messi nella condizione di non nuocere più allo Stato, alla magistratura, ai cittadini, a se stessi. E bisognerà sorvegliare che, sull' esito di questa tragedia, non pesino le pressioni delle lobby togate, gli accordi tra le correnti, i mediocri compromessi e patteggiamenti che hanno pregiudicato spesso la funzione del Consiglio superiore della magistratura. Naturalmente poi resta da chiarire il merito delle inchieste Why not e Poseidone. Di che cosa si tratta? E' davvero stata raccolta una sufficiente documentazione per dire che siamo di fronte a una sistema di potere opaco e guasto, abitato da massonerie, consorterie d' affari, politici corrotti ad ogni livello e di ogni colore? A dir la verità, il lavoro di De Magistris - anche prima dell' interruzione - è apparso inadeguato a dimostrare accuse costruite soprattutto e quasi esclusivamente con i tabulati telefonici raccolti dal suo misterioso e discusso consulente tecnico, Gioacchino Genchi, forse il vero dominus delle inchieste calabresi. Comunque sia, un tale distillato di veleni e miasmi non può restare senza un serio accertamento perché poi salta su un Berlusconi, imputato "prescritto", amnistiato, in salvo per leggi ad personam che hanno cambiato in corso d' opera il processo o il reato, lo stesso uomo che definisce un mafioso «un eroe», salta su Berlusconi - ripeto - per dire che esiste una «questione morale» che riguarda tutti. E' davvero troppo. Se esiste quel sistema marcio di potere, lo si accerti. Vengano fuori i nomi degli attori e dei complici. Si ricostruisca un' attendibile radiografia penale di quel network, se non si vuole che, nella notte, tutte le vacche appaiano nere. Oggi Why Not e Poseidone, incompetenti Catanzaro e Salerno, incompetente Napoli (lavora lì De Magistris) finiranno alla procura di Roma. L' ufficio della Capitale non ha proprio una grande storia da vantare nelle indagini contro i Poteri. In ogni caso, nessuno può dubitare che il capo dello Stato, con la stessa efficiente solerzia con cui ha fermato la guerra tra bande togate, saprà vigilare che si verifichi l' esistenza di quel "mostro" che ha scosso la serenità di Luigi De Magistris e la nostra. - GIUSEPPE D' AVANZO


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CAMPANE D' ALLARME E TROMBE STONATE
Repubblica — 07 dicembre 2008 pagina 1 sezione: PRIMA PAGINA

Non c' è un solo allarme rosso sul quale occorra tener fisso lo sguardo per comprenderne le cause e prevederne gli effetti con quotidiano monitoraggio. Ce ne sono tre, che insidiano la nostra vita dei prossimi mesi alimentando le nostre incertezze e i nostri timori. Due hanno dimensioni nazionali e sono l' allarme sul funzionamento della giustizia e quello che viene definito la questione morale. Il terzo ha dimensione mondiale ed è la crisi dell' economia, la recessione americana diffusa ormai su tutto il pianeta, il pericolo che la recessione si trasformi in deflazione e che questa degradi ulteriormente in depressione. La stampa americana parla ormai correntemente di «great depression, part 2» riferendosi a quella del ' 29, le cui conseguenze devastarono gli Stati Uniti e l' Europa per otto anni. Ce ne vollero poi altri due affinché cominciasse un nuovo ciclo di crescita economica il cui mostruoso motore fu l' industria degli armamenti e la guerra scoppiata nel 1939, con i suoi milioni e milioni di morti, compresi quelli di Hiroshima e Nagasaki e lo sterminio dell' Olocausto. Proprio per queste sue terrificanti dimensioni comincerò queste mie note domenicali dal terzo allarme rosso. Me ne sto occupando ormai da alcuni mesi ma ogni giorno accadono fatti nuovi e un aggiornamento critico è dunque necessario. Negli undici mesi fin qui trascorsi dal gennaio 2008 gli Stati Uniti sono in recessione, dapprima sottotraccia, poi esplosa a giugno con la crisi immobiliare. I sei mesi passati da allora hanno visto i listini di Wall Street perdere più del 50 per cento del loro valore e poiché i cittadini di quel paese hanno una familiarità con la Borsa sconosciuta nel resto del mondo ne è derivato un impoverimento, in parte virtuale ma in parte reale, che ha inciso sui consumi e sugli investimenti. L' effetto, in un paese ad economia liberista, si è ripercosso sull' occupazione ed è stato un crescendo di mese in mese. Allo stato attuale dei fatti sono andati distrutti in undici mesi un milione e centomila posti di lavoro, dei quali 200.000 in ottobre e 536.000 in novembre. Un' accelerazione spaventosa che, secondo le previsioni più aggiornate, supererà nel primo semestre del 2009 i quattro milioni di persone. Quando Obama e i suoi consiglieri affermano che il peggio deve ancora venire pensano esattamente a questo: lo spettro della disoccupazione di massa e quindi una diminuzione del reddito, specie nei ceti e per le etnie più deboli, ma non soltanto. Il saldo tra questa distruzione del reddito e l' apparente beneficio della discesa dei prezzi (dovuta appunto al crollo della domanda) sarà fortemente negativo, deprimerà i consumi e gli investimenti, manderà in fallimento decine di migliaia di aziende come in parte sta già accadendo. Tra tanti germi negativi che l' America ha già disseminato nel resto dell' Occidente, l' effetto principale sta nel fatto che il motore americano si è ingolfato e così resterà a dir poco fino al 2011. Ma poi ricomincerà a tirare come prima? Joseph Stiglitz in un' intervista pubblicata ieri sul nostro giornale, dà risposta negativa a questa domanda. Il capitalismo americano (e sul suo modello tutto il capitalismo internazionale) ha vissuto da decenni sulle bolle speculative. Sono state le bolle a far battere al massimo i pistoni del motore americano, locomotiva di tutto il resto del mondo. Le bolle, cioè il credito facile, cioè la speculazione. Ma le bolle, dice Stiglitz, dopo la durissima crisi che stiamo vivendo non si ripeteranno più. Non nella dimensione che abbiamo visto all' opera negli ultimi anni. E quindi non esisterà più un capitalismo come quello che abbiamo conosciuto, basato per quattro quinti sui consumi. Subentrerà probabilmente un capitalismo basato sugli investimenti e su una redistribuzione della ricchezza mondiale e, all' interno dei vari paesi, della ricchezza tra i vari ceti sociali. Si capovolgerà lo schema (finora imperante) che vede la redistribuzione del reddito e della ricchezza come una conseguenza dipendente dalla produzione del reddito e dei profitti. Sarà invece la redistribuzione a mettere in moto la produzione e i pistoni del motore economico. Ricordo a chi non lo sapesse o l' avesse dimenticato che fu l' allora giovane liberale Luigi Einaudi a propugnare (era il 1911) un' imposta unica basata sui consumi e un' imposta patrimoniale di successione che al di là d' una certa soglia di reddito passasse i patrimoni con un' aliquota del 50 per cento da impiegare per ridistribuire socialmente la ricchezza. Forse, con un secolo di ritardo, ci si sta dirigendo verso soluzioni di questo tipo. Lo chiameremo ancora capitalismo? Oppure come? * * * Il nostro governo e il nostro ministro dell' Economia sostengono che in Italia le cose andranno meglio perché le banche qui da noi sono più solide che altrove e i conti pubblici «sono in sicurezza». Salvo il debito pubblico, ma la colpa di quella voragine fu creata negli anni Ottanta e quindi riguarda la precedente generazione. Quest' ultimo punto del ragionamento è esatto; che le nostre banche siano solide è una fondata speranza; ma che le nostre prospettive siano migliori degli altri paesi è una bufala delle tante che il governo ci propina. Noi non stiamo meglio, stiamo decisamente peggio, ci tiene ancora a galla l' euro senza il quale staremmo da tempo sott' acqua. Stiamo peggio perché non abbiamo un soldo da spendere. Quelli che avevamo venivano da una forte azione di recupero dell' evasione fiscale che ci dette nel 2006-7 più di 20 miliardi da spendere. Questa fonte si è inaridita. Il fabbisogno è aumentato, l' abolizione dell' Ici ha distrutto un reddito tributario di 3 miliardi e mezzo l' anno; l' Alitalia tricolore è costata all' erario 3 miliardi (se basteranno). Sicché Tremonti non ha un soldo. Per mandare avanti il motorino italiano ha dovuto redigere nel luglio scorso una legge finanziaria gremita di tagli. Per far sopravvivere il sistema ha concesso la settimana scorsa un' elemosina di 6 miliardi "una tantum" alle famiglie e alle imprese; con qualche spicciolo aggiuntivo per far tacere le invettive del Papa e dei vescovi per i tagli alle scuole cattoliche (ma quelli alla scuola statale e all' Università sono rimasti tutti ferocemente in piedi). Anche in Italia tuttavia, come altrove, la crisi finora ha soltanto graffiato la pelle ma non ha ferito né i muscoli né i tendini. Si consuma un po' meno, si investe poco o nulla (ma questa latitanza degli investimenti privati e pubblici è da anni una costante). Il peggio deve venire dice Tremonti ed ha purtroppo ragione. La diagnosi è giusta. La terapia non c' è per ragioni di forza maggiore determinati dagli errori commessi sei mesi fa. Come uscirne dovrebbero dircelo il premier e il ministro dell' Economia. Certo non se ne esce con gli inviti ai risparmiatori a sottoscrivere i Bot. Tanto meno facendone colpa all' opposizione. Per Tremonti la via d' uscita sembrerebbe quella di metter le mani sul risparmio postale della Cassa depositi e prestiti. Si sperava che il presidente della Cdp, Franco Bassanini, si opponesse a quel progetto così arrischiato, ma sento dire che ne è stato addirittura uno degli ispiratori. Se fosse vero ne sarei stupefatto. * * * Tratterò insieme i due allarmi rossi nazionali: la crisi della giustizia e la questione morale. Il presidente del Consiglio, in un comizio di ieri a Pescara, ha scandito che «nel Pd c' è una questione morale». Il Corriere della Sera con un articolo di fondo in prima pagina del vicedirettore Battista, ha inneggiato all' Espresso che ha pubblicato un' inchiesta sulle indagini giudiziarie di alcuni assessori del Comune di Firenze e alcune attendibili voci su una sorta di comitato d' affari sugli appalti in terra di Napoli. Il Tg1 di venerdì sera ha anch' esso registrato tra le primissime notizie l' inchiesta dell' Espresso ed ha intervistato in presa diretta il direttore di quel giornale, Daniela Hamaui. Un' attenzione simile, del resto più che meritata dall' amica e collega che dirige il settimanale del nostro gruppo e dai suoi collaboratori, è del tutto insolita da parte d' un giornale che scia a slalom sui fatti e i misfatti e di un telegiornale che si fa giusto vanto di essere "super partes" anche se molti dei suoi ascoltatori non se ne accorgono. Non ho mai letto un editoriale del Corriere e mai visto sugli schermi del Tg1 un collega di Repubblica o dell' Espresso complimentato o chiamato ad illustrare i servizi pubblicati, quando quei servizi documentavano la questione morale nei partiti e nei personaggi del centrodestra a cominciare dallo stesso Berlusconi. Non parlo di giudizi politici, parlo di inchieste sul malaffare. In questi anni ne abbiamo scritti a centinaia ma nessuno di essi ha avuto la possibilità di imporsi alla pubblica opinione al di fuori di quanti ci leggono (che per fortuna sono tanti). È un vanto dei giornalisti del nostro gruppo di non guardare in faccia ai colori di bandiera di questo o di quello quando si parla di malaffare. Giuseppe D' Avanzo è un nome per tutti. Ma è sospetto e sospettabile il rilievo che viene dato dalla stampa cosiddetta indipendente e dal servizio pubblico televisivo solo quando le inchieste riguardano la sinistra riformista e mai quando riguardano i personaggi del centrodestra. Quanto ai giornali e ai giornalisti di centrodestra è inutile cercare qualche loro articolo che metta sotto esame i colori della propria parte. Non sono certo pagati per questo dai loro padroni. C' è una questione morale che riguarda alcune persone del Pd che rivestono cariche pubbliche. Personalmente non ritengo che riguardi il sindaco di Firenze che per protestare la sua innocenza si è voluto incatenare davanti al cancello d' ingresso dell' edificio dove lavorano tutti i giornalisti del nostro gruppo. Incatenarsi mi sembra un gesto che sa di retorica ma capisco la sua sofferenza e le sue motivazioni. Ciò detto, sentenzieranno i magistrati la loro verità. Il partito cui gli indagati appartengono non ha sovranità sugli incarichi istituzionali elettivi, non può obbligare alle dimissioni un governatore di Regione o un sindaco che derivano dagli elettori i propri poteri. Ma può (secondo me deve) sospendere dal partito in attesa di accertamenti le persone inquisite. A Firenze dovrebbe sospendere gli inquisiti dalle elezioni primarie alla carica di sindaco. A Napoli dovrebbe sospendere gli inquisiti, se e quando ne conosceremo i nomi, di un' inchiesta giudiziaria in corso. Così pure dovrebbe sospendere il governatore della Campania, anche lui da tempo sotto inchiesta. Di quanto bolle in pentola alla Procura napoletana per ora non si sa molto. D' Avanzo ne ha ampiamente parlato in due recenti articoli dai quali deduco che ci sarebbe una sorta di "comitato d' affari" formato da politici tra i quali importanti nomi di centrodestra e di centrosinistra in combutta tra loro e, come referente napoletano, Antonio Saladino, che non ha niente a che vedere con il feroce Saladino delle gloriose figurine del cioccolato Perugina, ma è stato dal 1995 al 2006 (cioè per undici anni) il presidente per il Mezzogiorno della Società delle Opere, filiazione in affari di Comunione e Liberazione. Dove si vede che le (supposte) mele marce ci sono dovunque e quando si avvistano vanno messe da parte affinché non contagino le buone. Questo ci si aspetta da un partito guidato da persone perbene. Questo, anzi lo si reclama. Dall' altra parte politica ci si aspetta poco o niente perché lì il malaffare sta al vertice il quale ovviamente non può bonificare gli altri suoi compagni di viaggio visto che, per definizione, non può bonificare se stesso. * * * Delle Procure di Salerno e di Catanzaro e della crisi della giurisdizione che in quelle Procure ha avuto in questi giorni la sua immagine più inquietante, ha detto tutto con parole tanto sobrie quanto severe il presidente della Repubblica. Sembra che ci sia stata in quegli ambienti una sorta di ventata di follia, di vanità, di ripicca, di megalomania che ha fatto crollare in poche ore la credibilità dell' intero ordine giudiziario e del suo potere diffuso. Il ministro Guardasigilli Alfano chiede ora una riforma costituzionale bipartisan. Vedremo come si condurrà nelle prossime settimane. Sarebbe auspicabile che l' aggettivo "bipartisan" non venisse confuso con l' incitamento all' opposizione di approvare un manufatto della maggioranza con la sola facoltà di cambiare un paio di virgole e qualche punto esclamativo. Finora è stato così e questo spiega la risposta sempre negativa dell' opposizione. C' è un punto che non richiede modifiche costituzionali e che a mio avviso dovrebbe essere affrontato: riportare in capo al procuratore del tribunale e al procuratore della corte d' appello l' esercizio dell' azione penale oggi diffusa in capo ai sostituti. Buona parte delle discrasie in corso nella magistratura inquirente derivano da questa parcellizzazione estremamente pericolosa che va a mio avviso abolita. - EUGENIO SCALFARI